martedì 28 febbraio 2012

SECONDO GIORNO


SECONDO GIORNO

Questa mattina, siamo andati a visitare l’ospedale privato 
PAOLO VI, che si trova nella nostra zona “Tampouy”, e’ una struttura molto discreta, dove il livello di igiene, e’ molto basso.

Visite come queste, non sono mai facili, non sai mai a cosa andrai in contro. Poi l’ospedale e’ spesso un luogo di dolore e sofferenza, e in un paese come il Burkina, credo che tutto possa essere amplificato rispetto all’Europa.
Nella nostra visita all’ospedale, abbiamo portato con noi, una valigia piena di farmaci, e un’altra valigia piena di magliette e pupazzi per i bambini. Basta cosi poco per vedere un sorriso sui loro volti, sia dei figli che delle madri; quest’ultime, che con molta dignità, non chiedono nulla, e non elemosinano niente, ma con gli occhi capisci quando e’ grande l’attesa, per vedere una maglietta o un pupazzo dato al loro bambino.
Seconda cosa che noto, e che smentisce quanto detto all’inizio, e’ la grande serenità delle persone, che nonostante si trovino in ospedale, non le vedi né lamentarsi né altro, viceversa, abbiamo trovato persone sorridenti, e questo mi fa riflettere.

La visita non ha limiti, e un po’  imbarazza noi della Onlus, che da “occidentali”, siamo abituati a prendere molte precauzioni prima di entrare in posti che dovrebbero essere sterilizzati. Addirittura, assistiamo in diretta ad un parto, il medico ci da la mano, ci dice di aspettare due minuti, fa partorire la ragazza nella stessa stanza, che ci vede divisi solo da un separè, e poi torna per continuare la spiegazione di quel reparto. Nessuno tranne noi sembra imbarazzato, neanche la giovane madre.

Altro reparto molto interessante, e’ quello relativo alle protesi, queste, sono un elemento molto importante per continuare ad avere una vita il più normale possibile, per chi ormai ha perso un arto. E’ un laboratorio, all’interno del quale ci lavorano due esperti, che ci mostrano i vari processi di lavorazione per creare una protesi. E’ un immagine forte, anche perché sul tavolo, ci sono vari stampi di protesi per bambini.

Finita la visita, dopo aver visionato tutti gli altri reparti, torniamo alla Missione, inconsapevole, che da lì a poco, avrò il compito più difficile che mi sia mai capitato.





LA MENSA
Ecco la vera emozione, tornati dall’ospedale, ad attenderci ci sta una fila di circa 300 bambini tra 5 e 10anni di età, che attendono di poter salire alla mensa delle Missione a loro preposta. Viene dato loro un pranzo al giorno, per la maggior parte di loro, e’ l’unico pasto della giornata.Il pranzo consiste in un piatto di pasta e una tazza di latte o acqua.


Un'altra cosa che mi impressiona, e' che i bambini più piccoli vengono "gestiti" da quelli più grandi che con bastoni, gli indicano dove sedersi, dirigono l'afflusso alla mensa e scandiscono la preghiera prima del pranzo. Sono molto violenti, una scena che mi colpisce, e' quando un bambino fa cadere la ciotola o altro, quelli più grandi lo bastonano, come a riportarlo all'ordine. Io non faccio niente! che potrei fare.

Salgo le scale, e afferro un contenitore pieno di pasta, inizio a passare tra i tavoli, sono agitatissimo, mi hanno detto di non darne, né troppa né troppo poca, se si eccede, potrebbe non bastare per tutti, viceversa, se avanza, ci sta il rimorso di aver fatto porzioni troppo piccole per quell’unico pasto.
E’ una cosa indescrivibile, avere davanti a te bambini piccoli, malnutriti e affamati, che ti chiedono di dargliene di più e tu non sai come fare, come fare a dirgli di no.  Un senso di nausea mi assale, la cosa che aumenta il mio dolore, perché vi assicuro che e’ un dolore, e’ la notizia che il cibo non e’ bastato per tutti, e quindi alcuni rimarranno a digiuno per oggi! Vi assicuro e’ terribile, anche perche pensi che la colpa e’ anche tua. L’amarezza e’ che tra poco a me invece, toccherà il secondo dei tre pasti abbondanti della giornata.













PO
Dopo pranzo,  saliamo in macchina, in direzione Sud, verso il confine con il Ghana. Viaggiamo per circa 3 ore per arrivare ad un villaggio di nome PO, famoso per essere stato per ben due volte, punto di partenza per i due colpi di Stato, quello del ’83 e quello del 87.  Dopo vari giri, troviamo il nostro alberghetto che ci ospiterà per la notte, naturalmente non e’ un albergo come ce lo immaginiamo noi, o meglio, come siamo abituati a vederli in Occidente, tutto e’ proporzionato al luogo in cui ci si trova.
Presa la stanza, io e gli altri membri della Onlus (Si può fare Onlus) ci incamminiamo su quella che dovrebbe essere la strada principale, lo deduco dal fatto che e’ l’unica asfaltata. E’ quasi buio, ho un po’ di paura, ancora non conosco questo popolo, 2 giorni dopo, la camminata serale, sarà una prassi (posto molto sicuro a mio avviso). Percorrendo la strada principale, scorgo queste “bancarelle” che sono le stesse ovunque; una vende qualcosa da mangiare, un’altra vende bottiglie con la miscela per i motorini (popolarissimi, l’80% credo giri in motorino), altre ancora vendono vestiti.










Diventa notte, rientriamo a piedi in albergo, ci aspetta la cena, anche questa, come tutto in questo viaggio, e’ un esperienza nuova. Ordino il pollo, il “cuoco” attraversa la strada e prende uno dei magri polli che vagano liberamente, lo porta nella bottega/cucina e lo prepara! 

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